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L'indio che incanta la Bolivia con la democrazia della coca ELEZIONI: L'EX «COCALERO» E' IL FAVORITO PER LE PRESIDENZIALI DI DOMENICA Morales: «Se sarò presidente ogni famiglia potrà coltivarla» Emiliano Guanella BUENOS AIRES - L'ex niño pastore di Illusavi, remoto villaggio degli aymara arrampicato sui quattromila metri dell'altipiano andino, potrebbe diventare il primo presidente indio nella storia della Bolivia. Evo Morales, leader dei contadini cocaleros, i produttori delle foglie di coca combattuti da più di vent'anni dal governo di La Paz e dalla Dea (Direzione antidroga statunitense) è il favorito nei sondaggi per le presidenziali di domenica prossima in un Paese spaccato drammaticamente in due al punto da paventare scenari da guerra civile. Dietro di lui c'è Jorge «Tutu» Quiroga, bianco, conservatore, appoggiato dalla classe media e dagli imprenditori di Santa Cruz, la seconda città boliviana, che alla povertà endemica del popolo delle montagne contrappone la ricchezza provocata dai giacimenti di gas e petrolio, l'unica vera risorsa del Paese. Da mesi Evo, come lo chiamano i suoi sostenitori, batte a tappeto la complessa geografia boliviana assieme ai candidati del Mas (Movimento al socialismo) e al suo braccio destro, il sociologo Alvaro Garcia Lineras. Nell'ultima settimana ha programmato ben quattro comizi: a La Paz, Sucre, nella sua Cochabamba e persino nella «nemica» Santa Cruz, dove a sorpresa viene dato al 16% dei consensi. Ha promesso una visita a sorpresa di Diego Maradona, diventato suo amico durante il viaggio in treno per il Controvertice delle Americhe di Mar della Plata agli inizi di novembre. Dopo tanti tentativi è convinto che questa sia davvero la volta buona. La sua storia inizia nel 1980 quando emigra con i genitori e i due fratelli rimasti (gli altri quattro sono morti per denutrizione prima di arrivare ai due anni), verso il caldo torrido di Villa Tunari, pieno Tropico di Cochabamba. Dalla pastorizia andina al sogno di una vita migliore. Sono gli anni del boom della coca, la foglia risalente alla millenaria cultura Inca e Aymara trasformata in elemento di base nel processo di fabbricazione della cocaina. Proprio la battaglia per la difesa dell'uso legale della coca, che si mastica per combattere fame e altura, si secca per tappare le ferite o si trasforma in infuso, diventa da subito la spina dorsale della sua carriera sindacale e politica. Alla testa di un movimento di oltre cinquantamila famiglie impiegate in un settore chiave dell'economia, formale e no, della Bolivia, il suo nome inizia a farsi conoscere a La Paz e a Washington. Negli anni Novanta la Casa Bianca inizia a investire diversi milioni di dollari per appoggiare la campagna «Coca Zero» con intere divisioni dell'esercito boliviano mandate a sradicare le coltivazioni. Ad ogni incursione fanno seguito i blocchi stradali, gli scioperi ad oltranza, gli scontri con morti e feriti. Morales in testa: nel 1997, lo dice nella sua biografia, rischia di lasciarci la pelle quando un elicottero dell'«Umopar», i reparti antidroga che si installano stabilmente nella regione del Chapare, inizia a mitragliare contro presunti narcotrafficanti nascosti nella selva in piena notte. La svolta arriva durante l'ultimo governo del conservatore Gonzalo Sanchez de Losada, quando il Mas riesce a conquistare i suoi primi seggi in Parlamento. Cambiano le parole d'ordine: dalla difesa della coca si passa alla battaglia per la nazionalizzazione delle risorse minerarie, in mano alle grandi compagnie petrolifere straniere. L'ambasciatore americano Manuel Rocha minaccia l'interruzione delle relazioni commerciali tra i due Paesi in caso di vittoria «di un uomo che il governo Usa considera un narcotrafficante». Morales, espulso dal Congresso nonostante il secondo posto ottenuto dietro a Losada, organizza la rivolta che porterà alla caduta del governo e all'insediamento del vicepresidente Carlos Mesa. Con quest'ultimo inizia un inedito dialogo che sfocia nel referendum sulla nazionalizzazione del gas del luglio 2004. Per qualche mese il Mas è partito di lotta e di governo. Fino a quando, lo scorso maggio, l'ennesima protesta di piazza non fa cadere lo stesso Mesa. Crescono nel frattempo le aspirazioni indipendentiste di Santa Cruz. Il nuovo mandatario è Eduardo Rodriguez, presidente della Corte Suprema, che convoca nuove elezioni. Per Morales è una strada spianata ma non in discesa. La probabile maggioranza relativa che otterrà domenica non gli basterà per diventare presidente. Non esistendo il ballottaggio la sfida tra lui e Quiroga sarà risolta a metà gennaio in Parlamento. Finora i partiti di centro e i conservatori si sono sempre alleati all'ultimo momento per far confluire i voti sul candidato «bianco», lasciando fuori fai giochi il 65% di popolazione di origine indigena. Uno scenario che potrebbe ripetersi anche se molto dipenderà dalla pressione della piazza che Morales, finora, ha saputo controllare abbastanza bene plasmandone i boati secondo i tempi ondivaghi della politica. Per il «nuovo Chavez», come viene chiamato dagli inviati dei media statunitensi calati a seguire il complicato voto boliviano, inizia ora la partita più difficile.
Secondo le proiezioni il leader socialista ha battuto col 50,8% il conservatore Quiroga (31,7%) e il centrista Medina (8,7%) BOLIVIA, ELETTO EVO MORALES PRIMO INDIO A DIVENTARE PRESIDENTE Il nuovo capo dello Stato vuole battere il "neoliberalismo sfruttatore" LA PAZ - Evo Morales, leader del Movimento al socialismo (Mas), ha vinto largamente le elezioni svoltesi ieri in Bolivia. Sarà quindi il primo presidente autenticamente indio d'America latina. Morales, che è anche massimo dirigente della Federazione dei coltivatori di coca del Chapare, ha superato con ampio margine il conservatore Jorge 'Tuto' Quiroga, del movimento Potere democratico sociale (Podemos), ed il centrista Samuel Doria Medina, di Unità nazionale (Un). Secondo l'ultima proiezione realizzata da Captura Consulting e proposta dalla Tv di stato, Morales ha ottenuto il 50,8% dei voti, e quindi la legittimità di una vittoria al primo turno, che attende però la conferma ufficiale dalle cifre della Corte nazionale elettorale (Cne). Sulla base del 90% del campione della proiezione, e con un margine di errore dello 0,5%, Quiroga ha raccolto il 31,7%, Medina l'8,7%, Michiaki Nagatani del Mnr il 6,6% e Felipe Quispe del Mip l'1,2%. A completare il successo vi è stata una importante affermazione alla Camera dei deputati (65 seggi su 120) ed una buona prestazione al Senato (13 seggi, come Podemos). Nel complesso il Mas ha per il momento 78 seggi, gliene manca uno per avere la maggioranza al Congresso nazionale. Nella sua prima conferenza stampa Morales, il quale prima del voto aveva detto che la sua candidatura "era un incubo per gli Stati Uniti", ha annunciato un governo "di uguaglianza, giustizia sociale, equità e pace" che "metterà fine al neoliberalismo sfruttatore". Dopo aver assicurato che "finirà l'odio ed il disprezzo a cui, come indios, siamo sempre stati sottoposti", il vincitore ha detto: "Vogliamo vivere insieme senza esclusioni, in una unione nella diversità". Infine, rivolgendosi agli imprenditori, ha detto che il Mas "non ricatta e mai ricatterà gli imprenditori onesti che desiderino investire nel paese". Gli analisti rilevano inoltre che ancora una volta, come era avvenuto nel 2002 quando aveva sfidato nelle elezioni l'allora presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, un intervento in extremis di Washington critico nei confronti di Morales, non solo non ha impedito un suo successo, ma addirittura ne ha ampliato le dimensioni.
Sent: lunedì 23 gennaio 2006 22.24 Subject: Re: discorso di Evo Morales Carissimi, questo è il discorso davanti ad oltre 50 mila persone, la maggioranza aimara e quechua che si sono radunati da ogni dove per festeggiare in Tiahuanaku il grande cambio nella storia boliviana. Credo che realmente sia un momento più importante che la stessa indipendenza. Speriamo che il nuovo governo che esce da questo cambio sia all'altezza della situazione. Il sapore di questo cambio è la vittoria degli indigeni sui bianchi e meticci con la presenza della maggior parte dei movimenti indigenisti del mondo. Il rifiuto del neoliberalismo è in nome del diritto dei più poveri ad accedere alle risorse del paese da cui sono stati permanentemente esclusi. Speriamo che non siano solo parole e soprattutto l'onestà e la trasparenza trionfino. Un saluto da Serafino. Discorso ufficiale di Evo Morales, primo presidente indio della Bolivia Tiahuanacu, 21 gennaio 2006 «Davvero grazie agli aymaras,ai quechua, ai mojeños per tutto l'appoggio che mi è stato dato nel corso della campagna elettorale, sorelle e fratelli. Vi dico, sorelle e fratelli delle province del dipartimento di La Paz, dei dipartimenti della Bolivia, dei paesi dell'America Latina e di tutto il mondo, che oggi comincia da qui, Tiahuanacu, da qui La Paz, Bolivia, un nuovo anno per i popoli originari del mondo, una nuova vita in cui cercheremo uguaglianza e giustizia, una nuova era, un nuovo millennio per tutti i popoli del mondo. Emozionato, vi dico che sono convinto che solo con la forza del popolo, con l'unità del popolo possiamo mettere fine allo stato coloniale e al modello neoliberale. Prometto, nel posto più sacro di Tiahuanacu, prometto di difendere i boliviani, di difendere i popoli indigeni originari, non solamente della Bolivia come ieri sera me ne è stato dato il compito, di difendere i popoli indigeni dell'America, quella che già era la Abia Yala. Per questo successo, per l'appoggio di tutti voi, voglio chiedervi una promessa seria e responsabile, non a Evo Morales, ma a tutti i boliviani, per tutti i latinoamericani: abbiamo bisogno della forza del popolo per piegare la volontà dell'impero. Ma voglio anche chiedervi, con molto rispetto alle nostre autorità originarie, alle nostre organizzazioni, ai nostri amautas, di controllarmi; se non posso avanzare da solo, spingetemi voi, sorelle e fratelli. Correggetemi sempre, è possibile che possa sbagliarmi, posso sbagliarmi, possiamo sbagliarci, ma mai potremo tradire la lotta del popolo boliviano e la lotta di liberazione dei paesi dell'America Latina. Il trionfo del 18 dicembre non è il trionfo di Evo Morales, è il trionfo di tutti i boliviani, è il trionfo della democrazia, è il trionfo, eccezionale, di una rivoluzione democratica e culturale in Bolivia. I guadagni facili in Bolivia non passano più, qui lo strumento politico mette sulla bilancia due poteri: il potere dei guadagni facili, il potere economico ed il potere della coscienza, e fortunatamente, e grazie alla Madre Terra, grazie al nostro Dio, e grazie ai miei genitori, la coscienza ha vinto le elezioni, ed ora la coscienza del paese cambierà la nostra storia, sorelle e fratelli. Per questo, su vostro invito, per volontà delle nostre autorità originarie, mando uno speciale saluto rivoluzionario ai ponchos rossi, ai fratelli jilakatas, ai mallkus, ai jiliri mallkus, alle mamatallas, molte grazie autorità originarie per aver permesso la realizzazione di questo atto tanto primordiale, nostro, per promettervi che governerò bene. Voglio solo dirvi, da questo posto sacro, con l'aiuto di voi fratelli e sorelle, quechua, aymaras, guaranì, che vogliamo insegnare a governare con onestà, con responsabilità per cambiare la situazione economica del popolo boliviano. Abbiamo già vicino una scadenza che è l'Assemblea Costituente. Alla stampa internazionale, agli invitati della comunità internazionale, vogliamo ricordare che nell'anno 1825, quando venne fondata la Bolivia, dopo che molti, migliaia, milioni di aymaras, di quechua, di guaranì parteciparono alla lotta per l'indipendenza, questi non parteciparono alla fondazione della Bolivia; vennero emarginati dalla fondazione della Bolivia nell'anno 1825, e per questo i popoli indigeni originari reclamano una rifondazione della Bolivia attraverso l'Assemblea Costituente. Voglio chiedere al nuovo Parlamento Nazionale di approvare entro febbraio o marzo la legge per la convocazione dell'Assemblea Costituente. Una legge per la convocazione dell'Assemblea Costituente per garantire l'elezione della Costituente il 2 luglio di quest'anno, ed il giorno 6 agosto, nella capitale storica della Bolivia, Sucre Chuquisaca, apriremo i lavori dell'Assemblea Costituente per mettere fine allo stato coloniale. Voglio chiedervi, sorelle e fratelli, unità, unità su tutte le cose. Voi avete visto ieri sera il movimento indigeno di tutta l'America concentrato in Bolivia - e non solamente i movimenti sociali americani, o europei, o asiatici- che ci ha salutato, dichiarandoci a gran voce il suo appoggio, dando ancora più forza a questo movimento politico che vuole cambiare la nostra storia; voi avete visto, sorelle e fratelli, questo movimento politico che ha portato in alto la Bolivia, il nostro paese, di fronte a tutta la comunità internazionale. Avete visto anche voi, sorelle e fratelli, non siamo soli a livello mondiale: governi, presidenti appoggiano la Bolivia e questo governo. Compagne e compagni, non dobbiamo sentirci soli. Viviamo un tempo di trionfi, viviamo un tempo di cambiamento, e per questo vi chiedo nuovamente, vi richiamo all'unità. Voglio chiederlo con molto rispetto ai dirigenti, ex dirigenti, al fratello Felipe Quispe, voglio chieder loro di unirci tutti per continuare ad andare avanti velocemente, sorelle e fratelli. A tutti i dirigenti, ex dirigenti, a nome dei nostri antenati, parliamoci, uniamoci perché è arrivata l'ora di cambiare la brutta storia di saccheggio delle nostre risorse naturali, di discriminazione, di umiliazione, di odio, di disprezzo. Aymaras e quechua non portiamo rancore, e se abbiamo vinto non è per vendicarci di qualcuno, non è per sottomettere qualcuno. Vogliamo solo unità, uguaglianza, sorelle e fratelli. Sorelle e fratelli, ancora voglio dire da qui che questa campagna internazionale è quella cominciata dai nostri antenati, la campagna dei 500 anni di resistenza indigena e popolare. L'88, l'89, spero di non sbagliarmi, ... il 92 mette fine ai 500 anni di resistenza dei popoli indigeni dell'America contro la politica, contro il colonialismo interno. Ho molto riflettuto su quanto ho ascoltato dai fratelli indigeni che si sono riuniti ieri. Sicuramente molti di loro adesso sono qui, a quei fratelli indigeni d'America che sono presenti, che sono là, fra di voi, un saluto, salutiamo i fratelli indigeni di tutta l'America che sono presenti qua con un applauso. E voglio dirvi, sorelle e fratelli: dalla resistenza alla presa del potere. Abbiamo finito con il resistere per resistere. Abbiamo visto che, organizzati ed uniti con i movimenti sociali delle città, della campagna, mettendo insieme le nostre coscienze sociali, con la capacità intellettuale è possibile sconfiggere democraticamente gli interessi esterni. Questo è successo in Bolivia. Per questo motivo voglio dire ai fratelli dell'America, di tutto il mondo: uniti ed organizzati cambieremo le politiche economiche che non risolvono la situazione economica della maggioranza nazionale. Qui, tra queste vette, ci siamo convinti che concentrare il capitale in poche mani non è una soluzione; concentrare il capitale in poche mani non è la soluzione per i poveri del mondo. Per questo motivo abbiamo l'obbligo di cambiare i modelli economici della privatizzazione, della messa all'asta. Tutto questo deve finire, e stiamo cominciando da qui, insieme. Tutti gli americani, tutti i movimenti sociali, vogliamo continuare ad avanzare, avanzando per liberare la nostra Bolivia, liberare la nostra America, continuando quella lotta che ci ha lasciato Tupac Katari, sorelle e fratelli, e noi la continueremo fino a recuperare il territorio; continueremo la lotta che ci ha lasciato Che Guevara, adesso tocca a noi, sorelle e fratelli, ricordando tutti i leader indigeni che si sono organizzati per recuperare le risorse naturali. Sorelle e fratelli, che emozione, non siamo abituati a questo genere di folle, in questo momento, quando ho varcato la porta del tempio, ho compreso chiaramente che il popolo è organizzato e mobilitato. Questa grande folla, questo posto, potrebbe essere paragonata alla Piazza de la Revolución di Cuba. Quando sono andato via da là ho lasciato una folla di mille persone; in Bolivia non avevo mai visto tanto, una cosa sono le manifestazioni di campagna, un'altra cosa sono le manifestazioni di supporto e di incoraggiamento. Questa folla è completamente un'altra cosa, e per questo vi ringrazio, primo a nome del Movimento Al Socialismo; secondo, a nome dello schieramento parlamentare del MAS e principalmente a nome dei popoli indigeni originali. Grazie, sorelle e fratelli; questa lotta non si ferma, questa lotta non rifinisce, nel mondo o governano i ricchi o governano i poveri. Abbiamo l'obbligo e il dovere di generare una coscienza nazionale in modo che la maggioranza, che i poveri del mondo prendano le redini dei loro paesi per cambiarne la situazione economica e da qui faremo sapere che anche i poveri hanno il diritto di governarsi, e in Bolivia i popoli indigeni hanno anche il diritto di diventare presidenti. Per questo, sorelle e fratelli, grazie al voto di tutti voi, per la prima volta nella storia boliviana gli aymaras, i quechuas, i mojeños sono presidenti: non lo è soltanto Evo, sorelle fratelli. Grazie, molte grazie». (La traduzione è di Giovanna Vitrano di www.selvas.org: Osservatorio Informativo Indipendente
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